LAVORARE
IN COWORKING
Il
coworking è uno stile di lavoro che prevede l’utilizzo di
un ambiente lavorativo condiviso, talvolta un ufficio, nel quale si
svolgono attività non legate le une alle altre. A differenza del
classico ufficio, quelli che utilizzano il coworking non sono
impiegati della stessa azienda.
Questo
nuovo stile lavorativo oltre
che mettere
in condivisione un ambiente
di lavoro mette in
condivisione risorse tra
professionisti che fanno lavori diversi con un
approccio collaborativo.
Coworking
significa letteralmente lavoro condiviso. Un modo nuovo di concepire
il lavoro che sta portando con sé un vero e proprio cambiamento
culturale, economico e sociale. Con la crisi e un mercato del lavoro
sempre più flessibile, l’ufficio tradizionale sarà sempre meno
popolare, specie in realtà di provincia come la nostra. Il
lavoro sta cambiando; le imprese si avvalgono sempre più di
collaboratori esterni, stratup
e freelance sono in grado di svolgere la propria professione ovunque
e in autonomia grazie alle nuove tecnologie, ma sempre meno in
condizione di potersi permettere l’affitto o l’acquisto di un
ufficio proprio.
IL
COWORKING CAMBIA IL LAVORO:
offrendo la possibilità di abbattere i costi fissi di gestione di un
classico ufficio, la flessibilità d’impiego degli spazi e degli
strumenti di lavoro, ma soprattutto l’opportunità di creare una (o
più) comunità nella quale riconoscersi e dalla quale sentirsi
riconosciuti, che abbia come obiettivo una convivenza sociale e
professionale.
L'attività
del coworking è il raduno sociale di un gruppo di persone che stanno
ancora lavorando in modo indipendente, ma che condividono dei valori
e sono interessati alla sinergia che può avvenire lavorando a
contatto con persone di talento.
Condivisione,
collaborazione, costruzione di relazioni, fare rete: sono pratiche
acquisite grazie all’utilizzo delle tecnologie digitali e diventano
oggi le basi sulle quali costruire modelli diversi da quelli che la
crisi ha dimostrato non funzionare più. Il coworking,
il lavoro ripensato in chiave collaborativa, è uno di questi. Al
centro torna l’uomo con le sue relazioni.
Le
parole chiave sono:
CONDIVIDERE:
conoscenze, spazi fisici, contatti, professionalità, progetti;
COLLABORARE:
tra professionisti per far nascere nuove sinergie;
COSTRUIRE:
alleanze, collaborazioni, committenze, progetti;
CONNETTERE:
fare rete; uscire dalla condizione di isolamento che molto spesso è
propria del libero professionista e creare una comunità
multi-professionale costituita da persone che condividano i valori di
apertura verso l’altro, collaborazione professionale, curiosità
intellettuale.
Pare
quindi che il coworking sia nato sull’esigenza di un utenza nomade
e non inquadrabile nei classici rapporti lavorativi, ma potrebbe
diventare un’ottima alternativa per quelle imprese e quei
dipendenti che non gradiscono il telelavoro “puro”. Potremmo
immaginare uno spazio di coworking in ogni isolato o anche in ogni
condominio, quindi un'attività legata fortemente al territorio in
cui è inserita. Trattandosi di uno spazio di lavoro, non
presenterebbe le distrazioni che si potrebbero verificare in un
ambiente domestico e contemporaneamente permetterebbe di mantenere un
ottimo livello di interazione sociale con i “colleghi”, se così
si possono chiamare le persone con le quali si condividono questi
spazi.
Ma
il coworking
è una bolla pronta ad esplodere o
è un fenomeno simbolo di un cambiamento sostenibile?
Secondo Carsten Foertsch (co-founder
di deskwanted.com e
redattore di Deskmag)
cinque
sono
le
ragioni
per cui la crescita degli spazi di coworking è basata su uno
sviluppo sostenibile, si
riporta di seguito un breve esratto:
1.
Gli spazi di coworking si autofinanziano e creano profitti reali.
E'
innegabile che gli spazi di lavoro condiviso creino un benessere
reale. La maggior parte degli spazi di coworking, riceve i fondi da
investitori locali, le risorse comunque arrivano dal territorio dove
lo spazio si trova, non operano attraverso il sistema finanziario
ordinario. Sono i fondatori stessi ad investire in prima persona (e
ad assumersi il rischio di investimento e gli errori in cui possono
incappare), almeno per la maggior parte del capitale richiesto,
chiedendo aiuto a conoscenti o comunque a entità reali. Hanno
accesso a tutte le informazioni di cui hanno bisogno visto che il
progetto è loro, a differenza di chi investe in progetti che non
conosce e che si trovano a migliaia di chilometri di distanza.
2.
Il mondo è cambiato ed è cambiata anche la richiesta di uffici.
La
maggior parte delle persone che usufruiscono di spazi di coworking
sono liberi professionisti, o
lavoratori subordinati, che, sempre più spesso, decidono di optare
per spazi alternativi ai soliti uffici. Non esiste più la sicurezza
che si aveva una volta avendo un contratto a tempo indeterminato,
soprattutto per le nuove generazioni. Per queste ragioni è
consigliabile diventare liberi professionisti ed imprenditori di se
stessi, cosa che è possibile fare investendo poco denaro. Tutto
quello che serve è un computer, una mente aperta e buone conoscenze.
3.
Gli spazi di coworking non “mangiano” sulla crisi.
La
crescita economica si allontana mentre il numero degli spazi di
coworking cresce. La crisi accelera la loro nascita perché offrono
alternative e la soluzione ad alcuni problemi. Questi spazi non sono
il risultato della crisi ma il prodotto del cambiamento di questo
periodo.
4.
Gli spazi dipendono dai bisogni dei loro membri.
Questi
spazi raramente sono in overbooking. All’incirca solo la metà dei
posti sono quotidianamente occupati. Ma non dimentichiamo che non
tutti i membri usano lo spazio contemporaneamente. Lo spazio è
adatto a lavoratori indipendenti che vogliono lavorare in modo
flessibile. Uno spazio con queste finalità può sopravvivere solo se
fa al caso dei suoi membri, quindi
della comunità.
5.
Il mercato del coworking è ben lontano dall’essere saturo.
Meno
del 2% di tutti i lavoratori indipendenti lavora in uno spazio di
coworking. La percentuale potrebbe aumentare ma è un’opzione poco
pubblicizzata.
(Articolo
apparso su Deskmag in data
30
ottobre 2012,
scritto
da Carsten Foertsch e liberamente tradotto per Talent Garden da Elisa
Remondina).